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Laggiù nel far west - 4


di adad
21.11.2019    |    7.186    |    8 9.5
"Erano terribilmente infreddoliti, così, dopo aver attizzato il fuoco ed essersi data una veloce ripulita, si spogliarono e si avvolsero nudi nelle coperte, ..."
Quella notte, per tutta la notte, fecero l’amore con tenerezza, con convinzione, quasi volessero riprovare e riconfermare i piaceri e le emozioni vissute nelle ultime ore. E la verifica fu soddisfacente, se l’alba li sorprese ancora abbracciati a carezzarsi.
Quando si svegliarono nel tardo pomeriggio, però, ebbero un’amara sorpresa: l’esterno della capanna era imbiancato da uno spesso strato di neve. Passato il primo empito di gioia infantile alla vista della bianca distesa immacolata:
“Cazzo! e adesso?”, esclamò Buck.
Ted lo guardò senza capire.
“I passi... se già non lo sono, fra poco saranno impraticabili… Rischiamo di rimanere bloccati chissà dove…”
“Hai ragione… - fece Ted - E anche se fossero praticabili, non possiamo pernottare in mezzo alla neve… Non siamo attrezzati, finiremmo assiderati noi e i cavalli.”
“Non ci rimane che tornare indietro; - concluse amaramente Buck – abbiamo alle spalle solo cinque o sei giorni di cammino, prima di arrivare in pianura.”
“E poi? Sai bene che da questa parte è territorio selvaggio e chissà dove si trova la città o la fattoria più vicina.”
Buck rimase in silenzio, riconoscendo la validità di quelle osservazioni.
“Restiamo qui! – disse ad un tratto Ted – Abbiamo una casa e tutto quello che ci serve… Sverniamo qui, Buck.”
“Ma… - fece quello, allargando le braccia all’intorno – cos’è che abbiamo qui? Non abbiamo i mezzi per sopravvivere sei o sette mesi.”
“Ascolta, Buck. – continuò Ted, ormai infervorato – Se tutto va bene abbiamo almeno un paio di settimane, prima che la neve ci blocchi del tutto: se tu cominci a pensare alla legna, io vado a caccia. Per il momento affumicheremo la carne, più avanti la faremo congelare…”
“E i cavalli?”
“Raccoglieremo l’erba anche per loro… Ce la faremo, Buck! Dai, non fare…”
“Guai a te, se mi dici di non fare la donnicciola! – lo interruppe l’altro, abbracciandolo – Me l’hai già detto una volta e non è finita bene… D’accordo, proviamoci. Del resto, non abbiamo alternative. Se proprio si metterà male, macelleremo i cavalli… e poi macello te e mi ti mangio!”
“Non macelleremo nessuno, Buck, vedrai.”
Seguirono giornate di attività frenetica: Buck accumulava legna su legna a fianco della baracca e sistemava meglio il riparo dei cavalli; Ted usciva la mattina e tornava la sera con un buon carico di conigli selvatici, che scuoiavano, mettendone ad affumicare la carne, mentre con le carcasse e le frattaglie cucinavano ottime minestre.
Quando le temperature scesero decisamente sotto zero, costruirono una cassetta, la imbottirono di neve pressata e la usarono per conservarci la carne fresca, che continuava ad affluire in abbondanza.
Intanto avevano trasportato in casa l’abbeveratoio di legno, che usavano per i bisogni di casa e per le loro pulizie, scaldando l’acqua con le pietre arroventate sul fuoco. Poi giunsero le grandi nevicate e la loro attività all’esterno diminuì notevolmente, limitandosi ad uscire qualche ora per raccogliere altra legna, cacciare o portare i cavalli a brucare la poca erba all’interno del bosco, dove gli alberi mantenevano il terreno abbastanza libero.
Il resto del tempo, i nostri eroi lo trascorrevano in casa, a fare le loro faccende, ma soprattutto a letto, avvolti nelle coperte, a riprendere quella conoscenza che i giorni precedenti avevano trascurato, morti come erano di stanchezza.
Una sera, i due rientrarono particolarmente affaticati da una battuta di caccia, che non aveva fruttato molto. Erano terribilmente infreddoliti, così, dopo aver attizzato il fuoco ed essersi data una veloce ripulita, si spogliarono e si avvolsero nudi nelle coperte, beandosi ognuno del grato calore dell’altro. E non passò molto che assieme al calore altri stimoli si riaccesero nei loro corpi. Ben presto, le labbra di Buck furono incollate su quelle di Ted in un bacio quanto mai passionale, mentre le sue mani esploravano avide ogni angolo del suo corpo, soffermandosi con foga particolare sulla soda rotondità delle natiche.
In un empito di passione, Ted gli intrecciò le gambe dietro la schiena, così che il durello ormai spasimante di Buck si trovò a sfiorargli con la punta bagnata la levigata mucosa del verginale orifizio. Entrambi avvertirono quel conturbante contatto e ne rabbrividirono. Ted si strinse ancora più forte a lui e Buck si ritrovò a farci scorrere contro l’intera asta, il che ebbe come conseguenza di farlo ribollire ancora di più:
“Ho voglia di mettertelo dentro… - esclamò dopo un lunghissimo bacio – Ho voglia di ficcarti dentro il cazzo e scoparti…”
Ted non rispose, combattuto fra la voglia di compiacerlo e il terrore del male che quell’affare avrebbe potuto fargli.
“Dai, fattelo mettere…”, continuava Buck, sempre più infoiato, ora che l’idea gli era germinata nella testa.
“No, ti prego…”, cercò di dire Ted.
“Ho voglia di sborrarti dentro…”, insistette Buck e la sua mano gli scivolò sotto le natiche, iniziando a punzonargli l’apertura col dito medio.
“Ahi! Mi fai male…”
Ma l’istinto atavico del maschio predatore prendeva ormai il sopravvento, Buck non ragionava più: soltanto l’urgenza lo premeva di ficcare il cazzo in quel corpo caldo e fotterlo, scoparlo, sborrarci dentro. Così, incurante delle proteste dell’amico, che del resto gli rimaneva avvinghiato contro, in quella posizione che aveva dato fuoco alle polveri, Buck prese il suo cazzo e glielo puntò sul buco riluttante, spingendolo dentro. La cappella penetrò agevolmente, viscida e spugnosa com’era, ma quando il tronco duro e massiccio si trovò a forzare la stretta dello sfintere, la fitta di dolore fu atroce.
“No!”, gemette Ted, cercando di svincolarsi dall’abbraccio.
Ma Buck lo tenne stretto a sé e continuò a premere, avanzando nello stretto
condotto con energici colpetti che strappavano gemiti di dolore all’uno e sospiri di
vera goduria all’altro. Ma per fortuna l’asta era alquanto bagnata e scivolosa per via delle precedenti abbondanti emissioni, per cui non tardò molto che Buck raggiunse il traguardo e si trovò con l’uccello saldamente inchiavardato nel culo di Ted.
Stette un poco a godersi quelle nuove sensazioni, così diverse da quando aveva scopato una figa… Era tutto così stretto… così caldo… Quasi non riusciva a capacitarsi che stava inculando l’amico… Si portò la mano all’inguine e si tastò alla base del cazzo, verificando che era effettivamente immerso come una spada nella carne fremente, e percorse con la punta delle dita l’intera, enorme circonferenza dell’apertura.
Provò un qualche rimorso per la sofferenza che stava infliggendo all’amico? Vorrei poter dire di sì, ma la realtà è che in quel momento ogni sua capacità intellettiva era del tutto offuscata dall’adrenalina che la libidine gli pompava nelle vene e dall’urgenza di godere, di arrivare a quell’orgasmo che si sentiva fibrillare internamente lungo tutta l’asta del cazzo.
Stringendo a sé l’amico, lo rigirò, ponendoselo sotto, e provò a dare i primi colpi di pompa. Il gemito prolungato di Ted, che si sentiva straziare dal dolore, lo indusse a fermarsi un momento e a cercarne le labbra, quasi volesse farsi perdonare con un bacio la sofferenza che gli stava procurando. Ma ancora mentre le labbra erano incollate le une alle altre e le lingue danzavano avvinghiate fra di loro, Buck riprese a muoversi avanti e indietro, dapprima in maniera pressoché impercettibile, poi con sempre maggior foga, incurante dei gemiti e delle proteste di Ted, che si sentiva quasi tirar fuori l’intestino, ogni volta che Buck lo estraeva.
Ma per sua fortuna, Buck era troppo eccitato per durare a lungo: bastarono pochi minuti perché l’orgasmo gli esplodesse nelle palle e un’incredibile quantità di sborra si eiettasse fuori, dilagando nell’ano devastato.
Quando tutto fu finito, Buck rimase tremante, svuotato di ogni energia, che stringeva fra le braccia un Ted altrettanto distrutto e gli sussurrava tenere parole all’orecchio, mentre l’uccello gli si andava via via smollando, fino a sgusciar fuori da solo, seguito da un filo di siero lattiginoso.
A questo punto, Buck si riscosse: si scostò dall’amico e finalmente, dalle lacrime che gli rigavano il volto, si rese conto della portata di quanto era successo, di quanto aveva fatto.
“Ti ho fatto così male?”, chiese con voce incrinata dal rimorso.
“Sì…”, mormorò l’altro, fissandolo con una luce dura negli occhi.
Il mondo sembrò crollare addosso a Buck, che, abbracciandolo forte:
“Perdonami, tesoro… perdonami ti prego… Non so cosa mi ha preso…”
“Ti ha preso che sei un bastardo!”, reagì Ted, spingendolo via.
“Non fare così, ti prego…”
“Non provarci neanche! E toglimi le mani di dosso!”
Buck si ritirò da una parte del letto, avvilito.
“Non mi ami più, allora?...”, mormorò.
Ted lo fissò a lungo, mentre la durezza del suo sguardo si andava ammorbidendo.
“E come potrei?”, bisbigliò alla fine con dolcezza, tendendogli le braccia.
Passarono il resto della notte a fare la pace, pace sancita verso l’alba, quando un Buck quanto mai amorevole e libidinoso gli prese in bocca l’uccello per rimborsarlo con un godurioso pompino della violenza subita.
I giorni successivi non portarono nessuna novità, tranne il fatto che, una volta aperta la strada, Ted fu sempre meno riluttante ad accogliere Buck dentro di sé, fino a scoprire che la cosa non gli dispiaceva poi tanto e allora fu lui stesso ad offrirsi all’amico, il cui vigore sessuale sembrava affascinarlo. Del resto quanto tutto ciò gli fosse gradito, apparve presto evidente dalla frenesia con cui accoglieva il pompino di Buck dopo la scopata e dalla copiosità dello sperma di cui l’altro sembrava farsi di giorno in giorno più ghiotto.
Intanto i giorni passavano e l’inverno si faceva sempre più duro: la loro situazione era difficile, ma non ancora critica: legna da ardere ne avevano in abbondanza e anche la selvaggina si riusciva ancora a trovare, in aggiunta alle provviste affumicate o congelate. Gli unici a soffrire veramente erano i cavalli, per i quali l’erba era sempre più rada, al punto che Buck propose di abbatterne uno e trasformarlo in bistecche, ma Ted si oppose con tutte le sue forze:
“Siamo arrivati in quattro e in quattro ce ne andremo.”, disse una sera che ne stavano discutendo sotto le coperte, dopo aver fatto l’amore.
“D’accordo. – acconsentì Buck – Ma tieni presente che se la situazione si farà insostenibile, bisognerà farlo.”
“Se la situazione si farà insostenibile… - concesse Ted – Ma adesso rimettimelo dentro, - sospirò, dopo avergli tastato il pisello di nuovo duro – rimettimelo dentro, per favore…”
Buck non si fece pregare: a parte la voglia che ne aveva anche lui, era ben felice di accontentare l’insaziabile compagno; così, glielo puntò sul buco, ancora bagnato e viscido per la precedente sborrata, e glielo spinse dentro tutto d’un colpo, fino all’attaccatura delle palle.
“Oh! Che meraviglia… - sospirò Ted con aria beata – è fantastico avere il tuo cazzone tutto dentro nel culo…”
“E per me è fantastico dartelo tutto in questa bella fighetta, tesoro…”, mugugnò Buck, ulteriormente eccitato dal linguaggio scurrile, che ormai era diventato abituale nei loro momenti di intimità. Era ancora impressionato dalla rapidità con cui il compagno si era adattato al suo ruolo passivo, manifestando quella voglia di essere posseduto, che ad un occhio estraneo sarebbe apparsa incomprensibile, se non malata. Ma la “passività” di Ted era solo apparente, perché in realtà il giovane si dava ben fare, dentro e fuori il letto, per mantenere sempre accesa e disponibile la vigoria del compagno. In definitiva, se Buck smaniava dalla voglia di fotterlo, lui smaniava del pari dalla voglia di essere fottuto.
“Aspetta, - disse Ted, mentre lui glielo macinava nel culo – Voglio sborrare mentre ce l’ho dentro!”, e visto che erano distesi sul fianco sinistro, si afferrò l’uccello e cominciò a menarselo con foga.
“Vuoi godere davanti e dietro, bella troietta? - grugnì Buck – Lascia fare a me.”, e scalzata la mano di Ted, ne impugnò lui stesso il cazzo, masturbandolo a ritmo con le sue pompate.
Ted si perse in un delirio di piacevoli sensazioni, mentre l’orgasmo montava nei suoi coglioni, finché con un urlo belluino aprì le paratie e il seme schizzò via dal suo membro proteso. Sentire per la prima volta sul suo cazzo le contrazioni di uno sfintere fu un’ulteriore scarica di adrenalina per Buck, tale che lo portò a godere subito dopo con una violenza e un piacere mai provato.
Passarono così le giornate, passarono le settimane, passarono i mesi e l’inverno cominciò ad avviarsi alla fine. La temperatura cominciò ad addolcirsi e le nevi a sciogliersi, finché chiazze sempre più ampie di terreno rimasero libere, ricoprendosi ben presto di tenere erbette, di cui anche i due umani fecero largo uso, migliorando la loro dieta.
“Presto potremo ripartire.”, disse un giorno Buck, mentre portavano i cavalli al pascolo.
“Già”, fece Ted, senza riuscire a nascondere un’ombra di malinconia.
“Aspettiamo qualche altro giorno per rimetterci in sesto e per essere sicuri che troveremo i passi liberi e praticabili.”
E così, una bella mattina di primavera sellarono i cavalli e caricarono coperte, provviste e quant’altro necessario al viaggio.
“Siamo stati felici in questa capanna…”, mormorò Ted, assicurandone bene l’uscio per altri viandanti a cui occorresse un riparo.
“E lo saremo ancora, vedrai.”, gli rispose Buck, abbracciandolo forte.
Si avviarono verso i cavalli e Ted si guardò attorno con gli occhi velati di lacrime.
“Dove andiamo?”, chiese una volta in sella.
“Seguiamo il sole. – rispose Buck – Mi hanno detto che dietro quelle montagne laggiù c’è il mare… un mare enorme.”
“E mare sia!”, esclamò Ted nuovamente euforico, dando di sprone.

FINE
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